SECURING WOMEN MIGRATION CYCLE
IL PROGETTO
Il progetto “Securing Women Migration Cycle” si rivolge a donne etiopi emigrate in Libano per cercare lavoro, principalmente nell’ambito dei servizi domestici (domestic workers). A fronte delle condizioni di grave sfruttamento e violenza sul luogo di impego, fuggono e vengono accolte dai centri (shelter) Caritas in attesa di essere rimpatriate. Il progetto prevede un approccio multistakeholder che si dipana lungo quattro direttrici principali:
Il potenziamento dei servizi di tre shelter CARITAS di accoglienza (Olive, Pine, Laksetha) in Libano mediante (I) il miglioramento delle condizioni strutturali dei tre edifici, (II) il potenziamento dei servizi di assistenza medica, psicologica e legale offerti alle domestic workers orientato dallo scambio di best practices fra il Comune di Milano (sezione di protezione vittime della tratta) e Caritas Libano, (IIII) la formazione dello staff dello shelter all’implementazione del modello Tutori di Resilienza e (IV) il potenziamento dei sistemi di assistenza al rimpatrio volontario.
Il miglioramento dei servizi di assistenza alle returnees in Etiopia mediante (I) l’empowerment delle competenze professionalizzanti delle donne, (II) l’erogazione di informazioni sui diritti, (III) il miglioramento del servizio di ricollocamento lavorativo e sociale e (IV) il perfezionamento dei servizi di assistenza alle returnees, attraverso la formazione dello staff all’implementazione del modello Tutori di Resilienza.
Avvio delle famiglie beneficiarie alla piccola imprenditoria mediante (I) uno studio preliminare sull’occupazione, la piccola imprenditoria e l’utilizzo delle rimesse con microcredito in Etiopia, (II) la formazione delle famiglie beneficiarie sull’uso delle rimesse sulla piccola imprenditoria e (III) la formazione di gruppo su risparmio e investimento in attività produttive all’uso delle rimesse in ottica imprenditoriale.
La sensibilizzazione della comunità di origine, degli attori istituzionali e delle agenzie di impiego in Etiopia sui canali di emigrazione, sui diritti delle returnees e sulle loro possibilità di ingresso nel mondo del lavoro.
COSA FA RIRES
RiRes, all’interno del progetto, ha organizzato sia in Libano sia in Etiopia un capacity building rivolto allo staff degli shelter, incentrato su quattro aspetti:
1) L’approccio psicosociale: i bisogni delle donne returnees
A partire dall’importanza del riconoscimento delle donne returnees come attori e agenti attivi, l’Unità di Ricerca sulla Resilienza ha introdotto i concetti di resilienza, fattori di rischio e fattori protettivi.
2) Come promuovere la resilienza
In questo modulo, l’enfasi è stata posta sulla ricostruzione e il rafforzamento dell’identità delle beneficiarie, concepita come l’insieme delle rappresentazioni della propria storia di vita e di sé, radicate nel passato, attuali nel presente e plasmate dagli orientamenti futuri. Le donne vengono dunque percepite e rispecchiate non come vittime di violenza ed eventi avversi, ma come “survivors” dotate di risorse.
3) Migrazione e trauma
Il terzo modulo si è focalizzato sulle peculiarità del trauma migratorio e sull’identificazione e il riconoscimento della sintomatologia post-traumatica, verbale e comportamentale, affinché gli operatori potessero rilevare un malessere delle beneficiarie. A partire da questo, gli operatori sono stati formatti all’applicazione di un approccio di trauma-informed care nel lavoro con l’utenza.
4) L’esperienza di essere Tutori di Resilienza
RiRes ha formato gli operatori all'assunzione del ruolo di "tutori di resilienza" nei confronti delle donne returnees, accompagnandoli alla costruzione consapevole di un rapporto di fiducia ed empatia, all'interno del quale le donne possano riconoscere ed esprimere le proprie qualità e risorse. Il training si è concluso con la richiesta di pensare a un simbolo che rappresentasse le funzioni e il ruolo di Tutore di Resilienza nel contesto di intervento al fine di verificare l’acquisizione dei contenuti del training e aiutare i partecipanti a dare una forma a un ruolo.
All'interno del progetto RiRes si è posta due set di obiettivi:
Negli operatori:
Formazione di figure professionali secondo il modello Tutori di Resilienza.
Potenziamento delle competenze dello staff nel promuovere il benessere psico-fisico delle donne migranti.
Nelle donne beneficiarie:
Consolidamento dell’identità e delle risorse personali maturate nel corso del processo migratorio.
Rafforzamento della capacità di elaborazione delle esperienze traumatiche vissute.
COME E PERCHE' RESILIENZA
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) nel 2010 ha rilevato che le donne etiopi lavoratrici domestiche (domestic workers) che si trovano in Libano devono fronteggiare una triplice vulnerabilità: di genere, economica e sociale. In primo luogo, nel 2020 il Libano ha fatto registrare un 145° posto nell’Indice di Parità di Genere (GPI), a causa della sistematica esclusione delle donne dalla scena politica, degli stereotipi di genere veicolati dai media, delle differenze salariali e delle scarse possibilità di accesso ai gradi più alti di istruzione per le ragazze. In secondo luogo, le donne migranti che cercano un lavoro devono necessariamente inserirsi in un sistema che prende il nome di Kafala. I datori di lavoro sono responsabili della loro residenza legale e le lavoratrici sono vincolate all’interno di un rapporto di lavoro privo di tutele legali - come il salario minimo, i limiti di orario di lavoro e la retribuzione degli straordinari - che si configura come vero e proprio sfruttamento e che spesso sfocia in episodi di maltrattamenti, denigrazione e abusi. Infine, l’esperienza migratoria comporta l’esacerbazione di vulnerabilità connesse al viaggio e all’inserimento in un contesto nuovo, in cui mancano legami sociali e famigliari. L’allontanamento dal luogo di origine e l’inserimento in una dimensione sconosciuta, ovvero ciò che Sayad definisce “doppia assenza”, rappresentano alcuni dei principali componenti del trauma migratorio.
Pertanto, le donne etiopi domestic workers vengono percepite – e si percepiscono loro stesse – come “donne trasparenti”, soggetti passivi, fragili, vulnerabili e incapaci di emergere da questa condizione. Inoltre, le ripetute violenze fisiche e psicologiche subite ne acuiscono l’annientamento come esseri umani, privandole della loro stessa dignità. L’introduzione del concetto di “resilienza” per queste donne si traduce in primo luogo in una restituzione del loro valore in quanto esseri umani portatori di risorse. Questo rappresenta un cambio di paradigma, uno spostamento di focus dalle debolezze individuali alle risorse che le donne possono mettere in campo. Il processo, d’altra parte, non può essere pensato come lineare e semplice: le difficoltà sopra presentate esistono e rappresentano un vincolo. La formazione “Tutori di Resilienza” fornisce agli operatori che lavorano negli shelter conoscenze, competenze e strumenti per affiancare e accompagnare le domestic workers etiopi nel riconoscimento di quelle risorse interne ed esterne che hanno permesso loro di sopravvivere alle avversità subite e che consentiranno loro di affrontare le sfide future, nel rispetto dei loro tempi e delle loro necessità.
All’interno del progetto, la resilienza si manifesta dunque a 3 livelli:
A livello strategico: l’intervento non si pone unicamente l’obiettivo di tamponare le vulnerabilità di individui passivi, ma di potenziare le risorse, interne ed esterne, di soggetti attivi che possano (ri)scrivere la propria storia.
A livello operativo diretto: l’intervento mira a formare Tutori di Resilienza che possano riconoscere e rispecchiare i punti di forza, le risorse e le capacità delle returnees.
A livello operativo indiretto: l’intervento ambisce a rafforzare l’identità delle lavoratrici, a potenziare e renderle più consapevoli delle risorse che hanno e ad aumentare conseguentemente il loro benessere psico-fisico.